Nel labirinto del Minotauro: viaggio nella psicologia del mito.

Intervento in occasione della mostra fotografica di Armando Casali “Ossidazioni: essere… o non essere”, del 27 novembre 2014.

Buonasera, sono Paolo Granone, psicologo, ed ho il piacere di svolgere il mio intervento, in seno a questa interessantissima mostra di Armando Casali, in sintonia con alcuni degli argomenti sinora trattati.

La cura e la scelta delle immagini rappresenta una chiara percezione del dettaglio e della possibilità di un’attribuzione di significato, che Armando, con un lavoro artistico intenso ed accurato, propone ed offre maturando, grazie al suo linguaggio fotografico, la metamorfosi di oggetti rovinati o degradati dal tempo in opere d’arte.

Quando sono venuto a contatto la prima volta con queste opere d’arte, durante la precedente mostra nel percorso di “Ossidazioni”, sono rimasto subito colpito dalla ricchezza di tematiche che il processo creativo di Armando mi offriva come spunto: dalla tematica del globale e del particolare, alla tematica della complessità delle nostre capacità percettive e di ricerca/proiezione del significato, ogni opera permetteva un lavoro di discesa progressiva sia nel mio che nell’inconscio dell’artista, portandomi in un territorio nuovo e perturbante (unheimlich) che permetteva di entrare in contatto con emozioni ancestrali e mitiche.

Quello che mi appresto a trattare è un esempio di metamorfosi, tema caro alla psicologia ed alla psicoanalisi, celato in un mito coinvolgente ed appassionante, ricco di colpi di scena e personaggi leggendari.

Tutto ebbe inizio quando Europa, una giovane bellissima, approdò su di un’isola condotta con l’inganno da Zeus che la sedusse con dei sotterfugi tramutandosi in un toro bianco prima ed in aquila poi, ed infine la abbandonò.

Europa, incinta, scelse di sposare Asterione, il signore delle stelle, figlio di Tettamo e re di Creta.

Quando Europa diede alla luce i tre gemelli che aveva in grembo, Minosse, Sarpedone e Radamanto, Asterione decise di adottarli.

Quando i tre figli furono adulti ed Asterione in fin di vita, Minosse, nella cupidigia di diventare il re della potente isola, chiese un segno dagli Dei.

A questa preghiera rispose Poseidone, facendo emergere dalle acque un magnifico toro da sacrificargli in segno di ringraziamento.

Ma la bramosia colse Minosse, che, volendo a tutti i costi quell’esemplare magnifico per sé, immolò al dio un altro animale altrettanto bello.

Minosse riuscì comunque a scalzare i suoi due fratelli, che riparando in altre isole, divennero dei re leggendari.

Quando un uomo sbaglia, è immancabile una punizione tanto crudele quanto grande è stato il torto commesso.

Minosse era sposato con Pasifae dalla quale ebbe otto figli: Catreo, Deucalione, Glauco, Androgeo, Acalla, Senodice, Arianna, Fedra.

Poseidone decise allora di punire Minosse facendo innamorare perdutamente Pasifae del toro.

Pasifae chiese allora a Dedalo, inventore Ateniese latitante per aver ucciso il proprio nipote, di creare uno strumento per farla accoppiare al toro.

L’inventore costruì a tal fine una vacca di legno, dentro la quale Pasifae potesse entrare per farsi penetrare da tergo dal toro di Poseidone.

Da questa unione abominiosa nacque Asterione, un mostro ibrido con la testa di toro, dal carattere bestiale, sempre affamato di carne umana.

Minosse, allarmato, si rivolse a sua volta a Dedalo, assegnandogli il compito di costruire una struttura talmente intricata e complessa da tenere imprigionata al suo interno quella terribile creatura.

Il compito di questa struttura doveva essere quindi duplice: non fare uscire il mostro e proteggere e nascondere il segreto.

Dedalo progettò dunque un labirinto, alla costruzione del quale partecipò anche il figlio Icaro.

Questo progetto risulto però talmente complesso, che l’inventore ed il suo aiutante si ritrovarono, alla fine dell’opera, prigionieri della loro creazione architettonica, dalla quale, per uscirne, Dedalo dovette far ricorso alla sua fantasia ed al suo ingegno.

Dedalo costruì così delle ali per sé e per il figlio Icaro, ma le ali dell’uomo sono fatte di penne e cera, e Dedalo, consapevole di questo limite, ammonì Icaro di non volare troppo vicino al sole.

Ma la sconsideratezza di Icaro, spinto dal suo senso di onnipotenza, lo portarono subito alla rovina: volersi sentire una divinità per ascendere verso il sole furono la causa dello sciogliersi della cera delle ali di Icaro e motivo della sua morte.

Dedalo invece si salvò volando fino alle coste della Sicilia, dove si nascose da Minosse.

Nel frattempo, Androgeo si era recato ad Atene per dei Giochi. Essendo un ottimo atleta vinse molto, forse troppo, tanto che gli Ateniesi, forse per invidia, lo uccisero.

La morte del figlio fu per Minosse un pretesto per aggredire la città-stato e sottometterla, imponendole un tributo ogni 9 anni di 7 fanciulli e 7 fanciulle da sacrificare al minotauro in ricordo del figlio perso.

Egeo, re di Atene, dovette mantenere questa usanza fino a quando, suo figlio Teseo, divenuto oramai adulto, impose, all’indomani della terza ricorrenza, di farsi inviare come tributo a Creta, deciso a mettere fine a questo terribile dazio.

Egeo, a malincuore acconsentì a patto di ergere delle vele bianche sulla nave del ritorno, qualora la missione fosse stata compiuta con successo.

Teseo, giunto a Creta, sedusse Arianna, e la convinse a rivelargli il segreto per sconfiggere il minotauro e per uscire dal labirinto.

A questo scopo Arianna diede degli oggetti al giovane: una spada avvelenata ed un gomitolo di filo d’oro.

Trovato il Minotauro, Teseo lo uccise e guidò gli altri ragazzi ateniesi fuori dal labirinto.

Teseo portò Arianna via da Creta con sé, ma poi la abbandonò sull’isola di Nasso e la ragazza, quando si accorse di ciò che era successo, lo maledisse e pianse talmente tanto che Dioniso per confortarla le donò una corona d’oro, che venne poi mutata dal dio in una costellazione splendente alla sua morte: è la moderna costellazione della Corona Boreale.

Al suo ritorno Teseo e il nocchiero della nave si dimenticarono di cambiare le vele nere con quelle bianche come promesso al padre Egeo; egli allora, credendo il figlio morto, si uccise lanciandosi dal promontorio di Capo Sunio nel mare che da allora porta il suo nome.

Morto il padre, Teseo venne proclamato re di Atene.

Minosse, furioso, cercò di ritrovare Dedalo e finì per ritrovarlo in Sicilia, dove il re Cocalo lo proteggeva.

La ricerca della vendetta ed il desiderio dell’eterna giovinezza segnarono la fine per Minosse che venne ucciso da un bagno di pece bollente preparato dalle figlie di Cocalo.

Questa narrazione è solo una delle tante varianti o rivisitazioni di questo mito.

Ma cos’è il mito?

[dal gr. μῦϑος «parola, discorso, racconto, favola, leggenda»]

Narrazione fantastica tramandata oralmente o in forma scritta, con valore spesso religioso e comunque simbolico, di gesta compiute da figure divine o da antenati (esseri mitici) che per un popolo, una cultura o una civiltà costituisce una spiegazione sia di fenomeni naturali sia dell’esperienza trascendentale, il fondamento del sistema sociale o la giustificazione del significato sacrale che si attribuisce a fatti o a personaggi storici; con lo stesso termine si intende anche ciascuno dei temi della narrazione mitica in quanto trattati ed eventualmente rielaborati in opere letterarie o filosofiche (per Platone, rappresentazione verosimile, in forma di allegoria, di realtà inattingibili da parte della ragione): i m.della genesi del mondo e dell’uomoil crearsiil diffondersi di un m.; i mgreci, romaniorientaliil mdi Prometeodi Teseo e Ariannail mdella spedizione degli Argonauti può essere interpretato come allegoria delle antiche navigazioniil m.della reincarnazione in Platone. In quanto fenomeno antropologico il mito, a partire dal sec. 19°, è stato oggetto di teorie che lo hanno interpretato, volta a volta, come espressione di una fase dello sviluppo storico della comunicazione umana, come testimonianza di esperienze e pratiche primitive ritenute comuni a tutti i popoli, o, più recentemente, come l’espressione simbolica di credenze e comportamenti tradizionali, radicati nelle strutture profonde della psiche (e dunque essenzialmente universali, al di là delle differenze di forma) oppure prodotti di condizioni socio-economiche storicamente determinate e allo stesso tempo strumenti di coesione ideologica e di conservazione sociale.

(Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/vocabolario/mito/)

Il mito ha dunque connotazioni storiche oltre che elaborazioni fantastiche.

In una chiave interpretativa storico-antropologica, in questo mito sarebbe raccontato il dominio e la susseguente ribellione delle città-stato achee agli eccessivi dazi imposti dalla potenza minoica di Creta, tra cui, probabilmente quelli relativi a richiesta di giovani uomini e donne.

Non è raro, in effetti, e se ne ritrovano tracce anche in epoche molto recenti (ad esempio l’usanza dei giannizzeri) di richieste di giovani usati sia come sacrifici alle divinità che come risorse per rinforzare il proprio esercito.

I resti del maestoso Palazzo di Cnosso sarebbero simboleggiati dal labirinto. Grazie ai numerosi scavi e ritrovamenti archeologici, non sarebbe errato pensare che la famosa Lubris, l’ascia bipenne simbolo della potenza minoica, marchiata sulle pareti della magnifica opera architettonica, possa essere associato appunto al labirinto del mito. Difatti, il palazzo, ricco di corridoi e stanze e lucente a causa della pietra calcarea col quale era stato costruito, potrebbe essere risultato ai molti viaggiatori che arrivavano sull’isola una costruzione in cui perdersi, dando origine al mito.

Immaginando degli stendardi rappresentanti due regni in lotta, Teseo, rappresenterebbe la nascente potenza di Atene mentre Minosse l’affermata talassocrazia di Creta.

È interessante notare come i natali di questi due personaggi siano di origini divine: Europa e Zeus diedero i natali a Minosse mentre Etra e Poseidone giacquero per procreare Teseo.

Questo ci confermerebbe il fatto che non si stia parlando di personaggi storici, quanto di simboli rappresentanti un determinato contesto e periodo storico, oramai perso nelle sfumature della storia.

La potenza del mito sta in questo: noi ricordiamo con più facilità il racconto fantastico perché ci colpisce sin dentro al profondo del nostro inconscio e lì risiede e dimora, dispensandoci insegnamenti ed ammonimenti.

Graves, letterato britannico autore di una pubblicazione molto interessante sulla mitologia greca, confuta duramente la teoria psicanalitica relativa alla decifrazione del mito.

Ciò che però trascura Graves è la soggettività con la quale noi mappiamo il mondo, lo immagazziniamo, lo elaboriamo e lo rendiamo nostro.

La consapevolezza di questi meccanismi e la certezza regalataci dalla scienza ci permette di affermare che non si può escludere la soggettività esperienziale prodotta da Freud, da Jung, Lacan, Abraham etc.. rispetto alla reinterpretazione del mito in chiave psicologica.

In chiave psicologica cosa rappresenta il mito?

Il mito rappresenta la collettivizzazione delle nostre pulsioni ancestrali e la loro soggiogazione o relativa punizione per la trasgressione o ribellione messa in atto dai vari attori.

Minosse pagherà la sua brama e cupidigia con il tradimento della moglie, la nascita di un abominio e poi la morte giunta dopo le ricerche di Dedalo fuggito. Quando perdiamo la nostra parte razionale perché acciecati dalla bramosia/dal desiderio/da una nostra pulsione, commettiamo degli errori che poi paghiamo a caro prezzo.

Pasifae giace con il toro e crea un mostro, il minotauro, essere indistruttibile metà uomo e metà toro. Se cediamo totalmente all’irrazionalità, non abbiamo più il controllo sulla nostra realtà e creiamo delle immagini altamente distoniche e spaventose che non riusciamo a gestire da soli.

Dedalo, inventore geniale, crea il labirinto per rinchiudervi la bestia cannibale e vorace. Per gestire le nostre pulsioni, le nostre angosce e le nostre paure usiamo quelli che scientificamente si chiamano meccanismi di difesa. Questi processi difendono il nostro funzionamento quotidiano, hanno un valore ed un significato appreso durante la nostra esperienza di vita. In casi di particolare difficoltà, questi meccanismi potrebbero sopraffarci creando disagio e sofferenza ed in quella circostanza è solo riconoscendoli che essi potrebbero essere smantellati o superati.

Per uscire dal complesso ed inestricabile labirinto Dedalo costruisce delle ali fatte di penne e cera e vola fuori da esso, fugge da Minosse e trova rifugio da Calimaco. Potremmo uscire da soli dal labirinto, con le nostre sole forze mentali ed il nostro ingegno, ma prima o poi le nostre paure verranno a cercarci e rischieremmo di soffrire ancora fino a quando qualcuno ci aiuterà ad affrancarcene definitivamente, ma rischieremmo di perdere una parte importante della nostra esperienza.

Teseo entra nel labirinto e grazie agli oggetti magici donatigli da Arianna, sconfigge l’indistruttibile Minotauro ed esce come un re-eroe dal labirinto. Noi possediamo delle capacità e delle risorse notevoli per affrontare le nostre paure, le nostre angosce o per gestire le nostre pulsioni, ma nelle difficoltà è necessario sapersi affidare e fidare di chi sappia gestirle e che possa fornirci gli strumenti per superarle, consapevoli dello sforzo di doverle poi affrontare vis à vis. Una volta superata la difficoltà ci ritroveremo più forti, maturati e capaci di riconoscerci diversi, avremo così operato la metamorfosi che ci arricchirà.

Nel Talmud, ci ricorda Fromm, il Maestro è colui che si è smarrito ed ha poi ritrovato la Via, è colui che ha conosciuto la sofferenza e che ha riconosciuto le proprie difficoltà, ed aiutato dalla propria comunità ha fatto tesoro della sua esperienza ed è diventato un esempio.

Il labirinto è in realtà il personaggio principale di questo racconto. Esso rappresenta lo sforzo che continuamente compiamo per gestire le nostre risorse, le nostre angosce, le nostre paure, ma rappresenta anche la capacità che abbiamo di ritrovarci, riconoscerci, crescere e trasformarci.

Il labirinto è un luogo terapeutico, protetto, che ci permette di affrontare serenamente il nostro rito di passaggio. All’interno di esso sappiamo già cosa ci aspetta, sappiamo già chi possa aiutarci ad affrontarlo e siamo certi di come muteremo una volta compiuto questo gesto.

Nelle antiche culture primitive, il labirinto era in realtà un percorso obbligato, che portava colui che ci si avventurava al centro della costruzione dove si ergeva un albero sacro, ai piedi del quale, posti su di un altare, si potevano trovare degli oggetti significativi per il cercatore e dal potere magico e curativo. Trovato il proprio oggetto rituale, il cercatore usciva dal labirinto curato, arricchito.

È significativo che il termine labirinto, in greco, abbia anche l’accezione di grotta.

Grazie a questo doppio significato, troviamo la sua metamorfosi e recupero ad esempio nella mitologia romana: Enea entra nella grotta dell’aruspice per superare il fiume Stige e ritrovare i propri antenati, grazie ai quali recupera le sue radici e può finalmente affrontare e vincere le sue battaglie.

Dante, superando l’enorme valore allegorico di tutto il poema, e semplificando la favolosa costruzione che ci fornisce, smarritosi nel bosco ed accerchiato dalle fiere deve entrare nella sua grotta ed affrontare, accompagnato da Virgilio prima e da Beatrice poi, il suo cammino verso la salvezza.

Il labirinto è diventato anche uno dei simboli più utilizzati dal Rinascimento in poi e, oltre a caratterizzare l’appartenenza o meno ad una setta massonica o ad un’organizzazione segreta, restituisce l’idea di crescita, cura superamento di una fase di vita, ad esempio dall’adolescenza all’età adulta.

Il labirinto possiede quindi l’ambivalenza di luogo misterioso, dove avvengono le metamorfosi di chi vi si avventura, all’interno dei quali regnano i nostri mostri ma anche di luogo dove ritrovarci, riconoscerci, accettarci, vincere le nostre paure ed uscirne arricchiti.

Vi ringrazio per l’attenzione

Il costo terapeutico

Ogni percorso psicoterapeutico o psicologico clinico deve prevedere due aspetti essenziali: l’impegno delle proprie risorse mentali da parte del richiedente concretamente indirizzato verso la soluzione (guarigione, superamento del periodo o gestione del problema) ed il suo impegno economico concordato con il professionista in base a parametri trasparenti.

Ogni lavoro ha un costo, ogni costo ha una spiegazione trasparente e chiara.

In primis, ogni psicoterapeuta, in quanto tale ha dovuto seguire un percorso di studi universitari, ha dovuto sostenere un percorso di tirocini di almeno 1000-1700 ore non retribuiti, l’esame di abilitazione alla professione, l’iscrizione all’Ordine Regionale, seguire una scuola di Specializzazione necessaria per diventare psicoterapeuta, fare dei corsi di aggiornamento, dei master, seguire un percorso di supervisione con un altro professionista.

In secundis, ogni psicoterapeuta, in quanto libero professionista, deve provvedere autonomamente a sostenere dei costi specifici quali i versamenti all’ente previdenziale (ENPAP), la propria assicurazione professionale, l’iscrizione all’Ordine professionale regionale, spese di cancelleria, l’eventuale affitto dello studio con le relative spese, il pagamento del proprio commercialista, le tasse relative alla Partita Iva, ed altri costi quali ad esempio la cura dei dati sensibili.

In tertiis, ogni psicoterapeuta deve aggiornarsi periodicamente, pertanto deve comprare libri o riviste di settore per poter implementare il proprio bagaglio tecnico e culturale.

Infine, ogni psicoterapeuta è anche un essere umano che deve provvedere a mantenere un decoro personale e professionale.

La trasparenza e la chiarezza del costo, prevedono che il professionista non abbia ogni volta bisogno di esplicitare ognuno di questi punti, ma che sia già socialmente condiviso che al lavoro debba essere attribuito un opportuno compenso monetario direttamente proporzionale al costo del percorso formativo e professionale.

A questa visione oggettiva del costo della terapia, va integrata anche la visione terapeutica del costo medesimo.

Lo psicoterapeuta dovrebbe in effetti sancire un patto sociale con il paziente, stabilendo un costo della terapia che sia significativo per il paziente, ma non superiore alle sue possibilità né eccessivamente inferiore. Questa visione del costo manterrà anche l’effettiva motivazione del paziente a portare a termine il percorso e lo gratificherà maggiormente ogni volta che otterrà dei risultati.

Se il paziente si trovasse a dover affrontare dei costi troppo onerosi probabilmente svilupperebbe una grande frustrazione nei confronti del terapeuta che vanificherebbe il lavoro svolto e produrrebbe degli anticorpi stereotipici negativi nei confronti delle categorie PSI.

Se al paziente venisse offerta la possibilità di pagare ogni seduta ad un costo molto inferiore alle sue aspettative o non trarrebbe alcun giovamento dal percorso svalutandolo contrariamente alle reali capacità e preparazione del professionista, o rimarrebbe incatenato ad una situazione vincolante col professionista probabilmente senza produrre nessun miglioramento significativo rispetto alla situazione iniziale.

Il costo terapeutico è quindi un compromesso, un patto sociale ma soprattutto un patto terapeutico tra il paziente motivato ad un percorso avente un obiettivo chiaro ed il professionista o psicoterapeuta che ritenga di poterlo seguire in base alle sue competenze, e che tenga in considerazione o chiarisca sia le condizioni oggettive che soggettive implicite sinora esposte.

Esistono al momento attuale delle circostanze economiche e sociali sfavorevoli che sono da tenere in considerazione, ma si consiglia anche di precisare che la ricevuta di tipo sanitario può essere detratta dalle tasse e che, qualora non ci si voglia rivolgere ad un professionista privato, esistono delle soluzioni nella sanità pubblica altrettanto valide.

Si vuole però sottolineare che, anche qualora ci si rivolga al pubblico, dovrebbe essere sostenuto un costo minimo, significativo e ponderato, altrimenti non si fornirà una soluzione terapeutica ma un’assistenza pietistica controproducente, tendenza propria di alcuni servizi assistenziali erogati indiscriminatamente e gratuitamente, che non renderà consapevole il fruitore del proprio percorso, né della validità del servizio erogato né del decoro e professionalità dell’operatore.